Il 19 gennaio 2014 un bambino di tre anni è stato ucciso con due colpi di pistola alla nuca e poi dato alle fiamme nella macchina del nonno, legato al seggiolino, sul sedile posteriore ai cadaveri di altri due adulti. Un caso che ha sconvolto l’Europa, quello di Cocò Campolongo e di Cassano allo Ionio, ma per poco. Il ministro degli Interni Angelino Alfano, a Cosenza un mese dopo la strage per una manifestazione elettorale del suo partito, tuonò: si stanno seguendo piste molto interessanti, li prenderemo. Ma ad oggi questo è l’ennesimo delitto impunito di Calabria.
Non fa notizia, non merita approfondimento. Lo pensano i grandi media ma non due giovani videomaker, che vanno sul posto nella sua normalità, alla vecchia maniera diremmo, per confezionare un incisivo reportage giornalistico. L’omertà e le raccomandazioni a mezza voce, vere e proprie minacce, i sogni traditi degli adulti e i bambini che scappano alla vista della telecamera. Anche una sfilata di esperti che nell’analisi, più o meno unanimemente, attribuisce all’alibi del sottosviluppo lo strapotere di una subcultura criminale che invece è spiccatamente capitalista. La contraddizione emerge nelle parole di un abitante del posto, che alle telecamere (e alle istituzioni) chiede come sia possibile che ci siano persone in quartieri poverissimi a girare tutto il giorno in macchine di 100mila euro.
Un lavoro meritorio, insomma, quello realizzato con la regia di Valeria Castellano, 30enne di origini cosentine che ha affinato le competenze giornalistiche a Milano e con la fotografia di Ilenia Caputo, giovane talento cosentino sempre più apprezzato.
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