testo di Mariarosaria Petrasso
le foto, scattate alla Soprintendenza per i Beni Culturali di Cosenza, sono di Mariarosaria Petrasso, Diego Mazzei e alba fragalia araba
Ha circa settecento anni ma è bella come se ne avesse appena venti. E’ Caterina d’Alessandria , raffigurata in una pala del ‘300, custodita nei laboratori di restauro della Soprintendenza per i Beni Culturali di Cosenza.
Si tratta di una delle poche opere trecentesche perfettamente conservate, il lavoro di restauro è finito da tempo ma il parroco della chiesa di S. Francesco d’Assisi non la vuole più: pare che l’ammodernamento dell’arredo sacro con statue di santi più popolari sia più redditizio per le casse parrocchiali.
Quest’opera è solo una dei tanti tesori conservati nei laboratori e depositi della Soprintendenza: fino a qualche anno fa erano presenti nell’edificio circa seicento opere da restaurare, dimezzate dai fondi stanziati dall’assessorato regionale alla cultura di Principe, che permisero di affidarne la metà a restauratori privati.
Rimane comunque da fare un lavoro enorme e minuzioso, affidato a restauratori pazienti e cordiali che hanno aperto le porte dei laboratori e del deposito in via eccezionale per Mmasciata.it .
Aiutati da tecniche moderne, come le termocamere che rilevano il calore, ad esempio è possibile controllare la direzione presa dalla colla a caldo iniettata nelle sculture lignee. I restauratori cercano inoltre di riportare le opere ai colori originali dell’epoca visto che nel corso dei secoli spesso le statue venivano ridipinte, secondo le mode correnti o nel tentativo di restaurarle in modo posticcio. Con l’ultravioletto è invece possibile vedere gli interventi del restauratore a fine lavoro o di restauri precedenti.
Sono presenti numerose tele, alcune già montate su nuovi telai, altre in attesa di essere trattate con nuove tecniche sperimentali. Si conservano anche arredi dell’ ex casa di cura “Umberto I”, edificio che potrebbe essere restaurato e trasformato in un centro culturale polifunzionale – avvantaggiando anche il vicino Castello Svevo – e che invece rimane abbandonato, ormai rifugio di senzatetto e tossici.
La Soprindentenza è dunque una sorta di grande “ospedale”, dove arrivano capolavori da tutta la provincia di Cosenza, alcuni in attesa di essere destinati a musei, come un ciborio benedettino proveniente da una chiesa paolana sconsacrata, altri che torneranno alle loro chiese dopo il restauro.
Eppure, nonostante l’importante numero di opere d’arte che permetterebbe di allestire più di un museo cittadino, continua la corsa verso l’arte contemporanea e la progettazione di luoghi culturali che quasi certamente ignoreranno il patrimonio già custodito dalla città, in favore dell’acquisto di altri pezzi d’arte spesso molto lontani dalla tradizione artistica locale.
REGGIO, LA NAVE SENZA VARO
Dovrebbe essere l’ammiraglia dei musei calabresi eppure, arrivando alla stazione ferroviaria di Reggio Calabria Lido, nonostante sia appena dietro l’angolo, non c’è un cartello che indica la direzione per il Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria. Lungamente restaurato impiegando cifre da capogiro (al momento siamo a quota 33 milioni), per il momento è accessibile solo in due sale: visibili i Bronzi di Riace, reperti rinvenuti a Locri Epizephyrii, un arazzo, la testa di Basilea e la testa del Filosofo, quast’ultima in esposizione al Quirinale fino a luglio. In piena stagione turistica per una città come Reggio Calabria.
Con una concezione ben lontana dall’informatizzazione di altri musei europei (vedi QUI il nuovo museo interattivo di Van Gogh in Olanda), in attesa che i lavori di restauro vengano completati, il piano terra ospita la mostra su Giuseppe Verdi. Una magra consolazione se si pensa che i reperti risalenti alla Magna Graecia conservati nei depositi di Reggio Calabria sono la collezione più vasta e preziosa d’Europa. I lavori dovrebbero finire entro qualche mese, salvo i soliti imprevisti burocratici come dice la dirigente del museo, Simonetta Bonomi, in un’intervista rilasciata al Fatto Quotidiano (QUI) qualche settimana fa.
Eppure, visitandolo di sabato mattina è possibile incrociare qualche scolaresca e sparuti turisti stranieri. Che, nel resto della città, troveranno ben poco. A parte il piacere di passeggiare lungo il chilometro più bello d’Italia e fare shopping su Corso Garibaldi, il resto versa in uno stato di abbandono generale, compresa la famosa villa Genoese Zerbi, in passato sede per il sud della Biennale di Venezia, che è invasa dalle erbacce con finestre e balconate divelte.
IL DIGITAL DIVIDE ET IMPERA
Crotone e Sibari le grandi assenti. Poche e confusionarie recensioni su Tripadvisor, che è certamente uno dei portali più visitati dal turista fai-da-te, ricerca tramite parole chiave che non porta a nessun risultato utile. Di entrambi i siti archeologici tra i più importanti della Calabria non esiste un sito web ufficiale, per reperire le informazioni necessarie alla visita (orari, costi, indirizzo) bisogna andare sul sito nazionale dei Beni Culturali o sul Portale Turistico della Regione. Che non sono di certo la prima cosa che visita un turista straniero, considerata anche la scarsa indicizzazione: se su Google si cerca “parco archeologico Sibari” il sito ufficiale della Regione Calabria non compare in prima pagina. Noi lo abbiamo trovato in terza o quarta pagina, a secondo del device utilizzato, tutti comunque influenzati dalla posizione e dalle ricerche effettuate che sono servite alla costruzione di questo reportage.
Insieme agli altri musei regionali, quelli di Crotone e Sibari sono stati inseriti nel progetto IreSud, un format presente anche nelle altre regioni meridionali, che dovrebbe informatizzare e rendere fruibili i servizi erogati dal Ministero della Giustizia e il Ministero per i Beni Culturali.
In realtà il sito è ben lontano dai nuovi standard di fruibilità 2.0, oltre che lacunoso e con gli ultimi aggiornamenti risalenti all’agosto 2013.
Apprezzabile invece il sito turistico della città di Cosenza, con interfaccia Facebook e Twitter, progetto del 2012 che precede il tentativo poco felice della pubblicazione della guida del Touring Club – ora ritirata – che nelle scorse settimane è stata oggetto di numerose polemiche a causa delle imprecisioni dello scritto e del contenuto un po’ troppo in odore di pubblicità elettorale.
Presente anche il sito dedicato al turismo del dimenticato comune di Papasidero: settecento anime custodi di uno dei patrimoni archeologici risalenti alla preistoria più importanti d’Europa, la grotta del Romito, che nonostante sia ancora una fonte importante di studio, non solo è quasi del tutto ignorata dal punto di vista scientifico (degli scavi, intervallati da lunghe pause, se n’è occupata l’Università di Firenze) ma anche da quello turistico, lasciando il sito all’incuria e con una strada di accesso che è quasi una mulattiera.
Lo stato frammentario delle informazioni turistiche che si trovano sul web è un po’ la metafora dello stato in cui versa l’intero patrimonio artistico calabrese e l’assenza di un piano turistico strutturato che sia capace non solo di tutelare i beni presenti ma anche di avviare un circolo virtuoso, generatore di reddito. E’ tuttavia ingenuo pensare che le sorti del turismo calabrese possano risollevarsi a breve: un po’ ovunque, in Italia, si sta assistendo al disfacimento del patrimonio artistico e culturale, con sempre meno investimenti. Qui, che ancora tutto o quasi deve cominciare, si può solo sperare che non demoliscano siti archeologici per costruire palazzi.