Da quel che resta del pertugio in pietra di una finestra in alto, senza neanche più le ante, sporgono due ruote azzurre di un triciclo, incastrato tra i rami e le foglie di un albero. Pare un’istallazione artistica creata per emulare il grattacielo “orto verticale” del centro di Milano. Invece ci troviamo più di mille chilometri a sud, nel centro storico di Cosenza, nel quartiere di Santa Lucia, uno dei più degradati strutturalmente e socialmente più complicati della città che fu di Bernardino Telesio e dei bruzi.
Nell’ultimo anno si sono verificati tre crolli gravi. Molti sono gli edifici a rischio, transennati eppure a quanto pare facilmente accessibili. Non si contano le buste dell’immondizia deposte agli angoli tra i vicoli – sulle mura dei palazzi qualcuno ha stampato un cartello che recita, a caratteri cubitali, “questa non è una discarica” – e poi i motorini e le biciclette abbandonate e accatastate ai muri. Gli stendi panni che campeggiano tra un palazzo e un altro, con il bucato regolarmente steso.
Santa Lucia, che ti accoglie con il suo inconfondibile odore di muffa sprigionato da pareti antiche e fognature colabrodo, appare come un non-luogo spacciato, irrecuperabile, condannato alla povertà, all’isolamento, alla disperazione. Sembra dover crollare tutto da un momento all’altro. Eppure anche qui c’è una speranza. Ne è convinta Suor Floriana Raga, che da un anno ha fondato l’Associazione dei volontari di Santa Lucia e per due giorni a settimana organizza il doposcuola gratuito ai bambini del quartiere.
“Operiamo in un posto dove si incontrano bellezza e bruttezza”, ammette, accettando di chiacchierare con noi seduta nella stanzetta che funge da sede dell’associazione.
Fino a poco più di un anno fa – come ci spiegano altre due volontarie, Laura Calderaro e Suor Chiara Labasin – era un magazzino usato come deposito delle candele accese il 13 dicembre, la festa della Santa Lucia. Solo grazie a un finanziamento della Caritas questa saletta è diventata un posto abitabile e confortevole.
Nonostante tutte le criticità di questo angolo di mondo, abbandonato anche dal sole del buon Dio, però Suor Floriana non ha dubbi: “Qui siamo molto ricchi perché tanta è la voglia di vivere che hanno le persone che abitano a Santa Lucia“. Sia Rom sia italiani. “I primi, dopo lo sgombero del campo di Vaglio Lise, vicino alla stazione ferroviaria, si sono stabiliti anni fa negli edifici abbandonati – ricorda la Sorella, appartenente alla comunità delle Suore Ausiliatrici – Erano una sessantina di famiglie, di cui alcune hanno trovato casa a Santa Lucia, altre nella zona del Duomo. Hanno un grande spirito di adattamento e si sono arrangiati alla meno peggio in case vecchie”.
Suor Floriana che è arrivata in Calabria da Roma nel 2010, ha iniziato a occuparsi di questo territorio da quando si era trasferita a Porta Piana, in cima al colle Pancrazio, dove sorge il borgo antico, “che rispetto al resto del centro storico è la parte tenuta meglio”, commenta. Presto con le sue consorelle ha percepito l’urlo disperato di Santa Lucia, che invocava aiuto con tutto il fiato nei polmoni.
Con il supporto del parroco del Duomo di Cosenza, Don Luca Perri, ha deciso di intervenire usando la stanzetta di fronte alla Chiesa di Santa Lucia come quartier generale e da novembre 2017 ha dato vita all’associazione dei volontari, i quali, però, non sono abbastanza. “Abbiamo costantemente bisogno di aiuto – ribadisce senza giri di parole Suor Floriana – per adesso operiamo solo due pomeriggi a settimana e siamo sempre alla ricerca di nuove disponibilità. Ci sono persone chi si avvicinano ma ci servono presenze fisse e qualificate. Le famiglie che seguiamo sono complesse e con i bambini occorre molto lavoro e perseveranza”. I piccoli che si rivolgono al loro centro non sono un numero esorbitante, “in tutto 12 bambini – precisa Laura Calderaro – e l’età varia dai 4 ai 12 anni. Noi siamo aperti i pomeriggi di martedì e giovedì”. Ma su 15 soci, quelli realmente operativi nel doposcuola si contano sui polpastrelli di una mano, “purtroppo solo 5 o 6 – lamentano le volontarie – per questo chiediamo più aiuto e partecipazione, in fondo si tratta solo di due ore a settimana”.
Dai diamanti non nasce mai niente, ma anche nella sterpaglia a volte possono spuntare dei fiori. Questo quartiere così dimenticato e degradato, infatti, nei giorni scorsi si è trasformato in un set fotografico semi-professionale, grazie alla magia dei bambini. Armati di fotocamere e spontaneità hanno immortalato la loro quotidianità, senza filtri e artifici (né tanto meno eliminando le storture con photoshop). Guidati da un osservatore esperto della realtà come il fotografo Ciro Battiloro, hanno tradotto in immagini e scatti di vita la loro casa, offrendo un altro sguardo, la loro prospettiva. “Quella più vera e senza filtri”, ha sottolineato lo stesso Battiloro, che da Napoli è stato invitato apposta a Cosenza per insegnare la fotografia ai piccoli reporter.
“Sono stato con loro per venti giorni spesso andavamo in giro insieme a scattare foto, altre volte lasciavo loro alcune fotocamere e si sbizzarrivano da soli”, ci ha raccontato il 33enne fotoreporter napoletano, che proprio questa settimana ha pubblicato sull’Espresso un reportage sul Rione Sanità e ha realizzato altri racconti sui Rom in Iran e Romania. “Santa Lucia e il Rione Sanità hanno in comune il fatto di essere città-ghetto, emarginate dal resto del territorio. Nonostante ciò ho conosciuto una straordinaria umanità ed è stato bello vedere i bambini prendere l’iniziativa”.
È vero, vista dalla loro prospettiva Santa Lucia è decisamente più bella. Le foto sono state esposte in una due giorni di festa, appese ovunque tra quei vicoli che per l’occasione si sono ripopolati, con il resto della città che si è ricordata di questo angolo dimenticato del borgo antico. Anche se solo per 48 ore. Gli scatti hanno fatto parte dell’arredo urbano, appesi alle impalcature dei palazzi in rifacimento, fissati con le mollette insieme ai panni stesi per strada e sui piedi stalli di legno, nel grande slargo di Piazzetta Santa Lucia, che per l’occasione è diventato un salottino. Con tanto di divani di vimini.