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Crisi, uno sguardo dall’equatore

admin
Luglio22/ 2012

uganda studenti r400

 

“I miei nemici? Li taglio a pezzi e poi getto la carne ai coccodrilli. I loro peni? Li attacco alla cintura”.

Idi Amin Dada, “signore di tutte le bestie della terra e dei pesci del mare”, tiranneggiò sull’Uganda dal 1971 al 1979. Otto anni infiniti di massacri, politiche sconsiderate, repressione, morte e quella macabra leggenda del cannibalismo vista in Rise and Fall of Idi Amin (1980) nella scena in cui mangia parti del corpo di un giudice reo di non aver eseguito la sentenza che gli aveva ordinato. Il più recente L’ultimo re di Scozia (2006) di Kevin Macdonald ha il merito di tratteggiare, grazie al “gigante buono” Forest Whitaker, la figura del cattivo, paranoico e brutale presidente ugandese spentosi nel 2003 nel dimenticatoio saudita all’età di 78 anni. Sullo sfondo l’Africa dei tribalismi, dei colpi di stato pilotati dai colossi della guerra fredda, di un neocolonialismo basato su pratiche antiche come lo scramble (accaparramento delle terre) con sistemi di sfruttamento intensivo come quello dei cash crops (prodotti destinati all’esportazione).

“L’ultimo re di Scozia: si, l’ho visto. E’ realtà e finzione al 50%, c’è un forte elemento drammatico, teatrale nel film. C’è comunque un tiranno, un bad guy”. Parola di Ronald Kimuli studente di economia intervistato con l’aiuto dell’amico burundese Olivier. Un ugandese, un burundese e un calabrese si ritrovano a parlare di storia e società, dell’Uganda e della Calabria, partendo proprio da quelle curiosità su Amin e dall’alone di mistero che ancora avvolge il dittatore africano.

Non credo che rappresenti esattamente ciò che Amin era. Per i britannici e tutti gli occidentali fu visto inizialmente come un profeta poi, scaricato, le cose hanno cominciato ad andar male. Fu un tiranno, sicuramente ma nel film c’è finzione, dramma che tocca i sentimenti”.

Ronald Kimuli è uno studente viaggiatore, viene da quella che avrebbe dovuto essere la grande Kampala di Amin, la capitale. Grandi palazzi, fabbriche, scuole, ospedali. Se non fosse stato per quella paranoia accecante che annegò sogni di gloria, autonomia e sviluppo. Ronald è partito per tornare e dar vita, 40 anni dopo, al sogno di un grande Uganda. Ciò passa dalla sua formazione professionale e da quella di molti altri connazionali sparsi per l’Italia, un’intellighenzia in “farsi” che ha in mano le sorti delle future generazioni.

Una situazione a tinte fosche quella ugandese. Come state messi?

“Difficile l’apprendimento in ogni ordine e grado, così come la situazione in generale. Sono stato fortunato, penso che la mia personale situazione fosse migliore, non così male, anche perché ora sono qua. Torino, Roma e poi Cosenza: mi sento bene qui, il sistema dell’istruzione è buono, ci sono alcuni problemi legati alla crisi economica ma bisogna considerarli ormai a livello mondiale”.

E l’Africa come si situa in questo scacchiere mondiale di pedine pronte ad essere inghiottite?

La crisi investe anche noi. L’Africa fa parte del villaggio globale e della globalizzazione. Se la crisi colpisce i tuoi vicini, ovviamente anche tu percepisci il colpo. Per esempio, quando c’è una crisi economica in Europa gli investitori non vanno in Africa e il governo africano non può imporre tassazioni e ciò fa sì che lo sviluppo sia più lento. La crisi limita anche gli studenti che non riescono ad andare all’estero per studiare perché non hanno borse di studio”.

 Parliamo di “Sud”. Calabria e Uganda: siamo poi così lontani?

Parliamo di paesi in via di sviluppo. Diversi gradi di sviluppo ma c’è sempre qualcun altro che va più veloce. Altra somiglianza riguarda lo stare insieme, i calabresi sono molto uniti come gli africani e questo è diverso dagli altri stati europei e da altre parti d’Italia. Qui però fa tanto caldo, in Uganda c’è un clima di tipo equatoriale e gli sbalzi termici si fanno sentire. Da noi non fa poi così caldo. Un’ultima differenza: qui si beve molto alcol e non si fanno molti figli.

L’abuso di alcol: piaga sociale che, secondo questo studioso Ugandese, distrarrebbe gli italiani dal procreare. Le continue libagioni, dunque, addormentano il cacciatore e la preda è libera di fuggire. Se la storia africana contemporanea è stata scritta dalla penna o dal fucile di “cacciatori” occidentali e asiatici, quella di Ronald fissa il presente e immagina il futuro, portando a compimento il desiderio del vecchio scrittore nigeriano Chinua Achebe: “Anche il leone deve avere chi racconta la sua storia, non solo il cacciatore”.

 

Matteo Dalena

 

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(Il discorso alla nazione di Idi Amin Dada in L’ultimo re di Scozia)

http://www.youtube.com/watch?v=HD3CbLq7Gww

 

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