di Matteo Dalena
Una cartolina a riprova di una bella amicizia: quella tra “eroe dei due mondi” Giuseppe Garibaldi e il musicista di Carolei Alfonso Rendano. E’ il giugno del 1867, l’unità nazionale è raggiunta ma mai veramente effettiva: in tutto il meridione si vivono gli ultimi rigurgiti del “grande brigantaggio”. Alla poesia e alla musica, nobili arti, il compito di aggregare o, in altri termini, “fare gli italiani”.
Alfonso Rendano riceve una missiva contenente una foto dell’eroe dei due mondi che reca a mo’ di didascalia la scritta: “Al mio caro Alfonso. Giuseppe Garibaldi”. Allegati alla stessa pochi versi scritti dallo stesso Garibaldi e donati al calabrese affinché ne confezionasse un inno: “Armi! All’armi! Rimbomba dai sacri/ Mausolei dell’eterna matrona. / Armi! All’armi! dall’Etna risuona/ sino a Trento il terribile suono. Giuseppe Garibaldi. Castelletti, 16 giugno 1867”.
Un inno per la nuova Italia? Il mistero è celato in questi brevi ed emblematici versi, dotati di una grande forza “aggregativa” . L’opera cosiddetta “seria” di tradizione aristocratica e cortese domina la scena musicale fino alla fine del ‘700. Gioacchino Rossini, Vincenzo Bellini, Gaetano Donizetti ai primi dell’800 sono portatori di uno stile più accessibile, scrivendo musica per soggetti e libretti evocanti aspirazioni nazionali ed aneliti di libertà. E’ però Giuseppe Verdi ad incarnare maggiormente lo spirito risorgimentale: le sue composizioni celebrano sovente l’amore per la patria utilizzando eroi del passato a prescindere dalla loro nazionalità: lombardi medievali (I lombardi alla prima crociata), vespri siciliani (I Vespri siciliani), antichi ebrei (Nabucco), egizi ed etiopi (Aida). La censura dell’aquila austriaca entra nei teatri: le cronache riferiscono di rivolgimenti e sommosse in occasione di opere cariche di spunti patriottici. Dopo il 1860 la rinascita culturale e musicale dei decenni precedenti, opportunamente manipolata, venne fatta propria dalla cultura ufficiale del regno unificato che avverte il bisogno di autentici “pilastri e monumenti” per rinforzare e celebrare l’edificazione del nuovo stato – nazione.
Quando riceve la cartolina dal “generale” Alfonso Rendano ha soltanto 14 anni: un “enfant prodige” che, dopo la formazione casertana, supera brillantemente l’esame di ammissione al Conservatorio di San Pietro a Majella di Napoli per poi avvicinarsi al grande Sigismund Thalberg che, conscio di avere sotto la propria ala un grande talento, lo invia a Parigi dall’amico Rossini con la raccomandazione di trovargli un insegnante di valore. Sui possibili incontri tra Rendano e Garibaldi si sa quasi nulla, né si è a conoscenza della presa in considerazione da parte del musicista di Carolei della proposta garibaldina. Il 2 giugno del 1882 il generale muore e “In sogno e in memoria di Garibaldi” Rendano compone “pagine dall’andamento funebre ed elegiaco”.
(partitura inedita gentilmente concessa dalla pianista Daniela Roma, direttore artistico dell’Ass. culturale Alfonso Rendano )
Tutta questa documentazione di grande valore storico e artistico ma ad oggi conosciuta da pochi, la si ritrova in un testo di 75 anni fa e in un cd musicale di recentissima pubblicazione. Il primo è intitolato “Alfonso Rendano” ed è una rara curatela di Guido Puccio datata 1937 (Angelo Signorelli Editore); il secondo “Alfonso Rendano (1853 – 1931). Concerto per pianoforte e orchestra and piano works” (Phoenix classics), eseguito dai pianisti Daniela Roma e Rodolfo Rubino, contiene la prima registrazione a livello mondiale di diversi brani rendaniani.
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