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SUPERSANTOS | Colpire la vita alla zinna

alfredo sprovieri
alfredo sprovieri
Febbraio02/ 2013

Non importa che non abbiamo vinto con gli altri, era importante vincere con noi stessi”. Ogni volta che penso a a Zdenek Zeman e alla sua eresia sportiva nata nel profondo Sud mi ricordo di tutti quei ragazzi visti crescere sui campetti di periferia, ben lontani da queste queste moderne e sofisticate scuole calcio.

Il campetto parrocchiale di San Pietro in Guarano
Il campetto parrocchiale di San Pietro in Guarano

Il gol alla “zinna” era il più difficile per quelli che spendevano tutto il loro tempo libero sul raschiato cemento del campetto parrocchiale di San Pietro in Guarano, ai piedi della Sila. Eravamo in tanti; una volta guadagnato il campo di battaglia per “sopravvivere” si doveva vincere una partita dietro l’altra; la prima a chi arriva prima a otto gol, la rivincita a sei, e l’eventuale spareggio, la “Bella”, ancora a chi arriva prima ad otto. Battendo una squadra dopo l’altra finiva il giorno e tanti dei “Frischi” che scalpitavano appoggiati alle ringhiere, finivano per tornare a casa con la speranza che il giorno dopo toccasse finalmente a loro. Quasi sempre si giocava contro i più grandi; potevamo sfidarli solo perché portavamo il pallone da casa. Non ne vedevi tantissimi in giro, il prezzo continuava a salire e ogni volta che lo si doveva ricomprare era un’impresa racimolare monete e raggiungere cifre che la memoria congela a 3500 lire. Eravamo ancora in un’epoca in cui i ragazzi uscivano senza soldi né telefonini in tasca, e se il pallone si perdeva nei vicoli lo si cercava per ore. Un buco significava dover ingegnarsi per ripararlo, squagliando con l’accendino la gomma intorno prima che toccasse a tutti soffiarci dentro l’aria, a turno e tenendo il “cappelletto” ben stretto fra i denti.

Quartieri spagnoli, foto di Fulvia Menghi
Quartieri spagnoli, foto di Fulvia Menghi

Realizzare un gol nelle partite contro i grandi non era cosa facile. Battevano loro, e giocavano con la porta al fresco, difendendo cioè, per merito alcuno, le linee di vernice sul muro fatto di mattoni rossi e facendoci attaccare contro un difensore ostico come il sole del Sud negli occhi. Solo più avanti negli anni avremmo potuto sorteggiarlo, quel privilegio, tanto veri pali da difendere al campetto non ce n’erano, e andava benissimo così. Il portiere occupava bene il centro della porta, e per segnare non potevamo far altro che mirare agli angoli. Era una condanna, perché ogni tiro vicino alla striscia disegnata per quelli più grandi era semplicemente palo. Mai gol. Erano più grandi, comandavano loro e basta. C’era un solo modo per evitare le discussioni e gli scontri, che potevano portarli anche a buttare il pallone “Super Santos”, indimenticato fratello di gomma rossa, nelle stradine sottostanti. Bisognava mirare alla “zinna”, colpire lo spigolo dei mattoni che si trovava all’interno della porta, quindi in “zona gol”.

La zinna, figlia della logica, era una legge superiore, non ammetteva obiezioni.

Se ti trovavi sul versante destro dovevi colpire forte di collo piede e puntare al piccolissimo spazio che il portiere di norma non lascia mai scoperto sul suo lato. Se invece attaccavi da sinistra ti toccava inventare una traiettoria particolarissima sul palo più lontano, a giro, o “alla Del Piero” direbbero le scimmie urlatrici che commentano oggi le partite in tv. E più crescevamo, più succedeva. Lo colpivamo forte o di striscio, e quello spigolo era la nostra liberazione.

Vicoli in Puglia, foto di Giovanna Bitonti
Vicoli in Puglia, foto di Giovanna Bitonti

Perché non basta che le cose le fai bene, regolari come lo sarebbero in qualsiasi altro posto, lì dovevi farle meglio. E’così che si cresce al Sud, non solo sui campetti. Spesso ti viene voglia di lasciare tutto e andare via da quella polvere, trovare la situazione in cui un tiro sotto l’incrocio dei pali valga il giusto riconoscimento, la realizzazione personale. La maggior parte di quei ragazzi infatti è andata via, per giocarsi altrove la partita della vita. Succede. Se resti, invece, diranno sempre che quel tiro era palo, con la faccia di chi dimostra di sapere il contrario, mentre gli altri hanno potuto segnarlo come volevano il loro punto, spesso tirando anche fuori, al di là della linea delle regole. Ad alcuni tutto è concesso, mentre gli altri se lo devono sudare il loro gol, ogni giorno devono incassare ingiustizia e umiliazione e combattere, riprovare, mirando allo spigolo delle cose, contro ogni prepotenza.

Non avevamo illusioni, alla fine il più delle partite finivamo per perderle comunque. Ma ad ogni gol alla zinna esultavamo felici, perché giocando avevamo capito che colpendola così la vita stavamo diventando migliori, migliori di loro, migliori di noi.

alfredo sprovieri
alfredo sprovieri

Nel 2002 ha fondato "Mmasciata". Poi un po' di tv e molta carta stampata. Più montano che mondano, per Mimesis edizioni ha scritto il libro inchiesta: "Joca, il Che dimenticato".

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