“Non penso che nella vita basti partecipare. Cultura della sconfitta, nello sport come nella vita, significa insegnare ad un ragazzo la voglia di rialzarsi e lottare”. Emiliano Mondonico guarda dritto negli occhi e stringe i pugni a tarda sera come se fosse a fine primo tempo di una partita in salita. Raccoglie applausi e affetto in una Cosenza che non l’ha dimenticato. Nel chiostro della biblioteca civica provinciale del centro storico ci si è organizzati per la pioggia e si discute per la rassegna culturale di “Invasioni” di felicità in un mondo sempre più triste come quello del calcio. L’ospite principale è l’allenatore antisistema, quello che verrà ricordato e amato per le sconfitte sul campo e le vittorie nella vita. Per la sedia da osteria alzata al cielo al posto di una coppa in una notte di finale andata storta.
“Il calcio oggi ci pare dia felicità perché null’altro riesce a darci emozioni. Penso tornerà a dare felicità vera quanto invece gli daremo l’importanza che merita. Una partita non può essere l’evento più importante nella settimana di milioni di persone”. Il mister senza giri di parole parla a tutto mondo, com’è abituato a fare. Passa dai campi alla politica, dalla sua lotta contro la malattia alla nuova vita nel volontariato, che gli sta insegnando molte cose, come in passato l’ha fatto il poter allenare nei campi del sud, lui che ha costruito il suo mito nel profondo nord. Cosenza significa Gianluigi Lentini, il suo pupillo ritrovato in quel gol all’ultimo minuto che riaccese sogni di paradiso. “Gigi è stato come un figlio, era il più grande talento che avevamo in Italia, giocava vicino alla mia panchina, gli parlavo per tutta la gara. Come atleta non sono stato un esempio e da allenatore ho cercato in tutti i modi di aiutarlo a non sprecare quelle doti. lo dico ancora con certezza: senza quell’incidente avrebbe vinto il pallone d’oro”.
Lentini Mister Miliardo che rappresenta anche il punto di non ritorno del business calcio in Italia. Massimo Cervelli, storico del calcio come ultima rappresentazione sacra del nostro tempo, aiutato dagli spunti di Franco Dionesalvi e Alessandro Russo ha discusso con l’attenta platea della trasformazione di un settore pieno di criticità profondissime, di patti con il diavolo e con la globalizzazione che ancora non lo danno per spacciato. Con un toscano marcatissimo detta la sua ricetta contro l’imperare delle regole: “Bisogna ritornare a far giocare i ragazzi per le strade della città, lontane dal calcio giovanile che ti convincono a 12 anni di essere un terzino destro o un centravanti. E’ una lotta importante, di socialità da ritrovare, per ridare la libertà di divertirsi”.
Perché chi è felice ha sempre ragione.