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LA VLORA | Albania e Europa, racconto di un sogno in alto mare

Francesco Veltri
Francesco Veltri
Ottobre16/ 2015

vlora

di Francesco Veltri

Halim non sa cosa fare. Di fronte a lui c’è una marea di gente e alle sue spalle c’è il mare. Non ha mai visto nulla di simile, due vastità tanto uguali e diverse tra loro, una di fronte all’altra e in poco tempo una dentro l’altra. Quella gente spinge e cresce sempre di più. Quella gente rompe le reti di recinzione, sale a bordo della nave  e lo minaccia con i fucili in mano: «Devi portarci in Italia!». Halim ha appena 39 anni e ancora poca esperienza. Vorrebbe scappare, ma non lo fa. Resta al suo posto di comando, perché quel gigante marino è malato, e senza una mano ferma al timone rischierebbe di sprofondare negli abissi, portandosi dietro quei volti arrabbiati, spaventati e illusi. La Vlora si muove lenta, e lui, Halim, non ha ancora capito cosa è velocemente successo. Ma sente il peso di ogni battito di cuore rimbalzargli addosso. Vede a fatica di fronte a sé i motori che arraffano, sputano veleno e urla di pietà. Di questo passo non si va da nessuna parte. Eppure il viaggio continua, traballante, straboccante di panico e sincerità. Non c’è cibo, non c’è acqua, e anche se ci fossero non si saprebbe dove metterli. C’è spazio solo per la speranza e per il respiro affaticato di chi sogna l’arrivo nella terra della tv felicità. La notte passa tranquilla, dormono tutti tranne il giovane comandante, che sente il suo mezzo schiacciare quel mare nero. Va a velocità ridotta, non può fare altro. 

Arriva l’alba, manca poco adesso, deve mancare assolutamente poco, altrimenti qui sarà una tragedia infinita. L’acqua ora è tornata al suo colore naturale e per fortuna dà una mano, non ribellandosi a quella pesante invasione. Bari è ad un passo, ma non è facile entrarci. Il comandante le prova tutte, alla capitaneria che lo ascolta da terra racconta di bambini, di donne e anziani sfiniti da una traversata di un giorno in mare aperto. Ma non c’è bisogno delle suppliche, basta l’immagine di quella nave umana, adesso drammaticamente e paurosamente visibile, a far capire all’Italia che non ci sono alternative. Halim ha il permesso di attracco al porto pugliese, di fronte a sé ha una visibilità ridotta e quelle anime sfinite gli sono davanti, sono dappertutto. E solo adesso si accorge della vastità di quel dramma. Si guarda continuamente intorno e trema perché ha finalmente capito: oltre 20mila persone sono state per un giorno intero nelle sue mani. Tutta quella gente ha sperato che lui, Halim, la portasse a destinazione. I telegiornali danno immediatamente la notizia e quelle fotografie in movimento tengono incollate allo schermo ogni singolo individuo, da nord a sud. Quella nave è lo specchio del popolo che trasporta: instabile, piegata ma ancora in piedi.

Davanti alla tv Gianni non può credere a ciò che sta guardando. Teme il peggio ma non riesce a distogliere i suoi occhi da quegli altri, che le telecamere a distanza riprendono maniacalmente. Ha da poco compiuto 35 anni e dalla sua casa in Veneto guarda quelle donne che abbracciano i loro bambini e quegli uomini che urlano, soffrono, sorridono, si tuffano in mare da dieci metri di altezza e poi raggiungono il molo, che per loro vuol dire aver realizzato il sogno di una vita. Ma il sogno dura poco. Quei volti sfigurati dalla stanchezza, dopo ore snervanti di attesa, ammassati come bestie su un palcoscenico di cemento che dà la sensazione di essere in bilico sull’acqua, vengono rinchiusi nello stadio della Vittoria. Roma ha deciso così. Il sindaco di Bari è furioso, ma non può disobbedire agli ordini. Ora sono tutti rinchiusi in uno stadio abbandonato, che ha l’odore del carcere quando fuori piove. C’è chi riesce a scappare, qualcuno cerca un riparo e un posto comodo per la notte. Poi iniziano le rivolte, fino alla riapertura delle porte. «Sono pronti gli aerei che vi porteranno a Roma e sarete liberi di andare dove volete». Dopo tante lacrime, ritorna la speranza. Quegli aerei sui quali tutti salgono, sono diretti però verso un’altra capitale. La loro capitale. Ed è un tragico tornare indietro, tutto quello sforzo non è servito a niente. Quel percorso verso l’amata Italia, verso l’Europa che conta, si è rivelato una terribile illusione che nessuno poteva mai prevedere. Solo Halim può restare, lui non ha colpe, non aveva alternative. Ma è un pensiero che non basta a fargli ritrovare la pace. Quei volti ormai sono conficcati nella sua mente come ricordi d’infanzia, e non andranno più via. Come quel popolo colpevole. Sempre che fuggire da una vita di morte sia una colpa. Gianni spegne la tv, quel dramma lo ha ferito, lo ha segnato. Pensa a quelle anime in fuga da una terra che i giornali definiscono arretrata, ingovernabile, maledetta. Eppure è lì, poco distante dall’Italia. Ma non c’è tempo per fermarsi, proprio in quei giorni sta partendo per lui una nuova avventura. Viene dal suo primo anno da allenatore di una squadra di calcio di ragazzi. Con il Bassano Virtus ha vinto tutto quello che c’era da vincere ed è stata naturale la chiamata di una società professionistica. Partirà dagli Allievi nazionali del Vicenza e poi chissà. Se sarà bravo, magari un giorno arriverà in serie A, oppure guiderà la Nazionale, vincendo un Mondiale o un Europeo. Sognare l’impossibile è ancora lecito per un ragazzo di 35 anni pieno di passione e ambizioni. Soprattutto in una calda giornata di agosto del 1991, quando può capitare di intraprende un nuovo viaggio che ti porterà dove non avresti mai pensato.

NOTA: Halim Milaqi è il comandante che nel 1991 portò sane e salve 20mila persone nel porto di Bari a bordo della nave Vlora. Ha smesso di navigare pochi anni dopo quel miracolo. Gianni De Biasi è un allenatore e ex calciatore italiano, la scorsa settimana è riuscito a portare per la prima volta nella storia la Nazionale albanese ad un Europeo di calcio. Lo stadio a Tirana, una volta tirato a nuovo, porterà il suo nome.

Francesco Veltri
Francesco Veltri

Guaribile romantico del giornalismo calabrese. Scrive per non dimenticare e si ostina a osservare l'inosservabile. Ha lavorato con alterne sfortune nelle redazioni della Provincia cosentina, di Cosenza Sport, di Cronaca della Calabria, di Calabria Ora e dell’Ora della Calabria. Per Diarkos ha scritto "Il Mediano di Mathausen"

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