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LA STORIA | E quando i vaccini non c’erano? Ci pensava la Sila

Matteo Dalena
Matteo Dalena
Ottobre27/ 2015

Venti piccoli cosentini dai 3 ai 12 anni confinati sulle montagne della Sila per 642 giorni. Non è uno dei tanti stupidi reality dei tempi moderni, è un racconto di vita vera che arriva dal tempo in cui non esistevano i vaccini. La chiamavano semplicemente «bonifica umana», era una selezione naturale combattuta da esistenze fragilissime. Si era nel mezzo di un’epidemia di malaria, una malattia che ancora oggi uccide circa 500mila persone ogni anno, in gran parte bambini. è l’estate del 1910 quando Felice Migliori (nome omen, a Cosenza portano il suo nome una via e un reparto di chirurgia), direttore dell’ospedale cosentino, scriveva: «è un male universalizzato che non rispetta né contrade, né paesi e come tale non può nemmeno rispettare Cosenza». Ai primi del secolo le scudisciate di questo morbo si abbattevano soprattutto sui più deboli: ospedale, brefotrofio, piccoli ospizi di periferia conoscevano lo strazio di quei teneri organismi letteralmente consumati da febbri, anemie, chechessie con associati tumori alla milza, ingorghi epatici e glandulari.

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I piccoli malati posano con gli operatori della struttura in Sila

Molti quartieri cittadini erano allora vere e proprie latrine a cielo aperto, ricettacolo di batteri di ogni sorta. Così la «cura chininica intensiva» alla quale venivano sottoposti nei primi anni di vita i bambini non produceva vantaggio perché, sempre a detta del Migliori: «Quando ai mezzi della terapia non sono associati gli altri fattori igienici non possono accendersi i caduti poteri vitali». La “soluzione” del malariologo piemontese Bartolomeo Gosio, subito accolta dall’associazione dei medici condotti ed ufficiali sanitari, dal sindaco di Cosenza, Francesco Cundari e dal senatore Francesco Mele, assunse in fretta l’appellativo di “bonifica umana”: «La malaria è per eccellenza malattia da sanatorio – spiegava Gosio alla buona borghesia cosentina – queste terre hanno in sé mezzi naturali molto propizi per porgere un riparo ed attenuare le conseguenze, fino ad ora deplorevoli».

La Sila come una medicina, insomma. Così, «in quella plaga di Sila incantata che si raggiunge dopo circa un’ora di vettura dalla Serra di Acquafredda, d’accosto alla rotabile che arriva a San Giovanni in Fiore, in mezzo al folto dei pini, in una brughiera deliziosissima», ad un’altitudine di 1200 metri, venne impiantato il Sanatorio Silano: inizialmente solo due tende “Gottshalk” alle quali poi si aggiunse un padiglione prefabbricato “Döcher”, spediti direttamente dalla direzione generale di sanità.

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La struttura immersa nelle immacolate montagne dell’altopiano silano

Nel giro di 642 giorni i bambini furono tutti restituiti alle loro famiglie «rigogliosi di vita, pieni di salute, senza alcuna traccia della malaria preesistente» o come ebbe a verificare un altro Migliori, tale Domenico, medico membro del comitato direttivo: «Quei teneri organismi lenti e passivi, perché defedati dalla malaria, intesero a poco a poco ingagliardire la fibra, saturandosi il sangue di globuli rossi, risorgendo a vita novella». Non solo cure fisiche. Le volontarie, emancipate e colte donne piemontesi come Giuseppina Le Maire insegnavano ai piccoli degenti normali abitudini d’igiene, pulizia, ordine e, insieme a queste, le sacre leggi della lealtà, della benevolenza, della tolleranza. A ciò si aggiungeva l’opera di educazione scolastica della quale beneficiavano non soltanto i ricoverati ma anche quei «bimbi della popolazione nomade, sparsa per quella distesa silana più vicina al sanatorio». Perché la malaria e le malattie in generale si vincevano, secondo la Le Maire, anche grazie alla «cura intensiva dell’anima, con una scuola volontaria che infondendo il principio della libertà individuale, rafforzò il sentimento del dovere e per l’amore di tutte le creature, dando comprensione della natura e della bellezza».
Piccoli e grandi eroi di una sanità tanto diversa da quella dei giorni nostri. Qui ci piace ricordarli tutti: Giovanni e Pasquale Borrello, Michele Tagliente (Castrovillari), Domenico Miraglia (Firmo), Francesco Sergio, Giuseppina Rossi (Tarsia), Giovanni Briglia, Pasquale Cianceruso, Carmela De Simone, Ida Esposito, Ester e Giovannina Fera, Elvira Galliano, Antonio Gervasi, Ninfa Migliorini, Angelina Picarelli, Carmela Pucci, Anna Solbaro, Antonio Palermo (Cosenza) sconfissero la malaria grazie alle cure silane del “malariologo” piemontese Bartolomeo Gosio, del medico cosentino Angelo Cosco e all’amabile assistenza delle volontarie Le Maire, Ferreri e Roux.

 

PER APPROFONDIRE: Un opuscolo del 1911 intitolato “Sanatorii antimalarici della Provincia di Cosenza” edito dalla Tipografia della Cronaca di Calabria e poi degli appunti cartacei del dottor Migliori in Opere Pie dell’Archivio di Stato di Cosenza

Matteo Dalena
Matteo Dalena

Storico con la passione per la poesia, imbrattacarte per spirito civile. Di resistenza.

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